Il mattone non è un dolce minimal. E non è light, lo dice il nome. Ma negli anni sessanta, quando lui spopolava, nessuno aveva desiderio che i dolci fossero light: c’era necessità di nutrirsi il più possibile spendendo il minimo, perché l’Italia, anche se viveva il boom economico, non era poi cosi ricca e spensierata come voleva far credere e il cibo degno di considerazione era quello rotondo, soddisfacente e rassicurante. Un dolce doveva essere un dolce, punto e basta. Opulento e sostanzioso, il mattone castellano è stato la colazione e la merenda di tante persone e la memoria delle papille gustative – potente quanto quella olfattiva – ha fatto di questa delizia un evergreen che non è mai uscito di scena. Certo a tratti è diventato magari un po’ fané, ma non ha mai perso del tutto né l’aplomb né lo smalto. Era Osvaldo Dei che con accuratezza infinita preparava il mattone ogni settimana. Tutte le fasi avevano per lui la sacralità di un rito: miscelava l’impasto cioccolatoso che forma l’anima del dolce e ne controllava la densità con occhio esperto. Poi si dedicava alla pasta frolla col perfezionismo dello scienziato e programmava la cottura. Ogni giovedì mattina in negozio appariva il mattone, gioia di golosi e affamati che non pronunciavano mai la parola “dieta”.