Ci vorrebbe il rumore della neve
10 Dicembre 2015

Nello zibaldino ci sta di tutto, giusto?... E perciò ci sta anche una bella “fiaba di Natale”. Si tratta in realtà di un racconto breve scritto da Massimiliano Bardotti che tratta un argomento di grandissima attualità. È un racconto che fa pensare, fa sorridere e invita con gentilezza all’autoironia. È un racconto lieve e tostissimo che mostra il talento di Massimiliano Bardotti per la parola scritta. Massimiliano è un poeta castellano – ma, come vedrete leggendo, è bravissimo anche con la prosa – autore di molte raccolte, il suo ultimo libro si intitola “L’ABBRACCIO” (Faraeditore). Se per Natale volete fare la felicità di chi ama leggere, regalate questo piccolo grande libro pieno di forza.

Le raccolte di Massimiliano Bardotti sono in vendita presso la libreria CUENTAME di Empoli, un salottino molto accogliente che invita alla lettura. Margherita, la titolare, ha in negozio tutti i titoli che Massimiliano ha pubblicato e saprà guidarvi sicura nella scelta del libro migliore. Ma ecco a voi la fiaba che per gentile concessione di Massimiliano possiamo pubblicare per intero.


Il rumore della neve

 

a Genny


E così cadde la neve.

In realtà nessuno potrebbe giurare di averla vista cadere, perché ci sorprese al risveglio, dopo una notte silenziosa, la più silenziosa che io ricordi. Eppure avevo sentito dire che la neve fa un rumore particolare quando scende dal cielo. E’ come un perpetuo movimento dell’atmosfera, i fiocchi che a uno a uno si cullano su ogni molecola d’aria. Non è un rumore molesto, è qualcosa di lieve, rigenerante, una cura, e chi l’ha sentito è pronto a giurare che è inconfondibile, indimenticabile.

Noi, non ci accorgemmo di nulla. Noi, ci svegliammo e basta, su un bianco manto di stupore. Il primo fu Jacopo. Le sue grida svegliarono tutto il vicinato. Provò a uscire in strada ma non ci riuscì. Si limitò a gridare dal suo balcone quasi del tutto inagibile: “Andrea, non sarà la neve a fermarmi, non sarà la neve né nient’altro!”.

Jacopo era convinto che da quando Andrea aveva aperto una piadineria a pochi metri dalla sua pizzeria a taglio, i suoi clienti fossero diminuiti. Andrea si difendeva dicendo che anche lui, Cristosanto, doveva mangiare, che quel negozio era un suo diritto e che se l’aveva messo su a pochi metri da quello di Jacopo era stato per concessione del Comune, mica era colpa sua!

Jacopo e Andrea erano amici da una vita, ma quella piadineria aveva fatto loro perdere di vista tutto il buono che avevano condiviso. Come erano arrivati al punto in cui: “Andrea, te lo giuro davanti a questi compaesani, domani darò fuoco alla tua cazzo di piadineria!”, questo proprio non saprei dirlo.

Jacopo aveva gridato le sue parole di guerra davanti al bar del Grillo, così che in molti potessero sentire. Ma il giorno in cui le minacce avrebbero dovuto diventare fatti, ci fu la neve.

Jacopo e Andrea non erano gli unici ad avere dei problemi al paese. C’erano anche Benedetta e Carla, due ragazze che definirò attempate. Carla e Benedetta erano in guerra per Adolfo, un giovane bellimbusto tutto muscoli e niente cervello. Uno di quelli che impara la vita sulle riviste, che finge erudizione, ma ha letto i libri di cui parla in versione bignami. Non era per questo che interessava alle due tardone, era solo per i muscoli.

Dettaglio decisamente da non sottovalutare è che Carla e Benedetta erano le donne più ricche del paese e Adolfo si lasciava corteggiare da entrambe.

La sera prima che la neve ricoprisse il nostro grazioso paese, Carla disse a Benedetta che se non la smetteva di importunare il suo Adolfo, gliel’avrebbe fatta pagare molto cara. Allora Benedetta prese Carla per i capelli e strattonò forte, gridando che poteva minacciarla quanto voleva, che non aveva paura e che il giorno dopo lo avrebbe dimostrato a tutti. Ma il giorno dopo, come ormai anche voi sapete, la neve aveva coperto col suo manto incantato e puro, ogni centimetro del nostro paese improvvisamente divenuto così battagliero.

Dovevate vederlo: un paesino antico, un borgo medievale quasi completamente intatto, novantasette abitanti in tutto, uno centenario, che al bianco mattino aprì gli occhi e quando vide la neve disse: “Speriamo buon Dio, speriamo che nevichi per sempre”. E morì, col sorriso sulle labbra, lo stupore negli occhi e la speranza nel cuore. Zero dolore. Ma dato questo fatto devo rivedere la mia introduzione alla descrizione: dovevate vederlo, un paesino antico, un borgo medievale quasi completamente intatto, novantasei abitanti in tutto, stradine acciottolate, vicoli stretti, casette con entrate separate.

Il giorno prima del grande evento, Maura, la figlia della parrucchiera, disse ad Alberto, il figlio del panettiere, che se non la smetteva di importunarla avrebbe preso le forbici con la quale la madre tagliava i capelli e gli avrebbe reciso il pistolino.

Enea il carrozziere disse a Consuelo, una giovane ragazza bella come la vita, che se non si fosse concessa a lui avrebbe distrutto quel suo bel viso con un attrezzo robusto.

Nessuno poteva fare nulla ormai, visto che la neve impediva a tutti noi di uscire dalle nostre case.

Andò avanti per giorni: il nostro piccolo paese tutto ricoperto di bianco candido, un solo paese nel giro di chilometri e chilometri. Intorno il mondo continuava la solita routine senza accorgersi di nulla. Era il luglio più caldo che l’umanità ricordasse. Forse il vento rovente, forse l’aria irrespirabile e l’afa, forse qualcosa di sconosciuto e ancestrale, di terribile, forse tutto questo aveva fatto perdere le staffe alla nostra gente. E proprio nel momento in cui tutto l’odio stava per esplodere, la neve ci aveva salvato dall’irreparabile. Ma per quanto? Quanto poteva durare la neve con quel caldo terribile? Quanto sarebbe servito quell’intervento divino?

Si dice che certe domande celino in sé la risposta, che altre non abbiano risposta. Ma quello che stava accadendo superava di gran lunga ogni fervida immaginazione. Perché la neve non si scioglieva, rimaneva intatta, perfetta, risplendeva al sole dei giorni seguenti e restava immobile nel suo splendore. Come un emblema.

Dopo molti giorni chiusi in casa, i compaesani cominciarono a vederla. A vederla davvero intendo dire. A godersi quella meraviglia dalle loro finestre, a lasciarsi penetrare da un pungente afflato di rinnovamento. La neve a luglio, una benedizione. Un segno.

Jacopo si rese conto che in fondo non c’era niente di male a guadagnare qualche soldo in meno e che Andrea si meritava senza ombra di dubbio di possedere una propria piccola impresa.

Carla e Benedetta si accorsero quasi all’unisono che Adolfo era solo un cretino e che quei muscoli non sarebbero serviti a nulla se non supportati da qualcosa che non si può allenare in una palestra: intelletto e personalità. Non per questo smisero di essere delle tardone con dote, aggiungo io.

Maura comprese che tagliare il pistolino ad Alberto non era cosa adatta a una signorina.

Enea si rese conto che voler possedere una donna non ha niente a che fare con l’amore e che anche il sesso ha senso solo se condiviso. Non per questo Consuelo smise di essere bella, come la vita.

Così ogni altro abitante del nostro paese smise l’ascia di guerra e si lasciò cullare, come i fiocchi fanno con le molecole d’aria, nel delicato processo di civilizzazione.

Quella notte, quando tutti i compaesani erano ormai andati a dormire, nevicò di nuovo, ma al contrario.

Piano piano, fiocco dopo fiocco, la neve non scese dal cielo, ci andò, ci tornò. Fu uno spettacolo indescrivibile, una meraviglia nella meraviglia, e finalmente riuscii a sentire quel rumore, del quale avevo tanto sentito parlare.


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